
Il desiderio di sfida e Internet, alias challenge o se vogliamo sfide social. Sembrerebbe quasi che il digitale e la rete abbiano risvegliato in noi la voglia di sfidare gli altri e sfidare noi stessi.
In questi giorni siamo purtroppo venuti a conoscenza di quanto accaduto ad una bambina di 9 anni di Palermo a causa di una challenge e questo triste avvenimento ci sbatte dritto in faccia una durissima quanto innegabile verità: siamo ancora troppo lontani dai nostri ragazzi.
Siamo troppo lontani dai loro problemi, dai loro sentimenti, dalle loro emozioni e paure. In una parola soltanto, siamo ancora troppo lontani dal loro mondo. E il loro mondo oggi è fatto anche di termini come web e digitale. Loro sono nativi digitali, sono la generazione z, e noi adulti?
Noi adulti nella migliore delle ipotesi facciamo parte di quella generazione chiamata “immigrati digitali” o se siamo stati più fortunati e nati a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’90, “generazione x” o “generazione y”.
In altre parole, a differenza dei giovani di oggi, ci siamo dovuti adattare, spesso con passione ed entusiasmo, spesso forzatamente, all’uso di internet, dei devices digitali e dunque ad un linguaggio totalmente nuovo.
Le Challenge sono un’invenzione del web?
Navigando nella rete, tra social, blog, siti web, abbiamo imparato a conoscere questo termine: challenge. Lo abbiamo conosciuto sotto vari nomi: Blue Whale (balena blu), Hanging challenge o Blackout challenge, dare devil selfie, solo per citarne alcune tra quelle più pericolose. Fortunatamente, come vedremo in seguito, non esistono solo challenge pericolose.
Le challenge sono dunque un’invenzione del web? Nascono e si diffondono con il diffondersi dei pc, degli smartphone, dei tablet e del nostro essere sempre più iperconnessi? O esistevano già da prima?
Siamo lieti di annunciarvi che la voglia di sfidarsi e di competere con gli altri esiste da sempre, da tempi immemorabili!
Sin dalla notte dei tempi, quando i nostri antenati erano vestiti con delle pelli e gli uomini avevano il compito di cacciare per sopravvivere e le donne di accudire i piccoli, il senso di sfida già albergava in loro: il desiderio e la necessità di dimostrare di essere i migliori per guidare un piccolo gruppo di persone, poi divenuta una tribù e via via una popolazione.
Con il passare del tempo le challenge hanno assunto sempre più una veste ludica, ma mantenendo un significato forte e ben preciso alla base: dimostrare di essere capaci, dimostrare di essere i migliori.
Ricordo i racconti di mio nonno, quando da giovane con i suoi amici tentava il tuffo dallo scoglio dal quale nessuno o veramente pochi avevano osato tuffarsi, o i racconti di mio padre quando negli anni ’60 e ’70 ci si sfidava nelle gimkane, ossia gare all’aperto nelle quali i concorrenti percorrevano su auto truccate un tracciato tortuoso e reso impegnativo da ostacoli e giochi vari da fare, nel più breve tempo e con il minor numero di penalità possibili.
Correvano gli anni ’80 e parte dei ’90. Ricordo le mie di challenge, con i miei amici. Alcune veramente divertenti e innocue, altre a ripensarci bene forse più spericolate, ma tutte accomunate sempre da un unico desiderio: provare emozione, adrenalina. Dimostrare agli altri e a noi stessi il nostro valore.
Abbiamo capito dunque che il desiderio di sfida, le challenge, non sono state un’invenzione del web. Le abbiamo forse chiamate diversamente, adeguatamente ai tempi e al nostro sapere linguistico, ma ci hanno accompagnato da sempre nel percorso di crescita, da bambini ad adolescenti fino a diventare adulti.
Allora forse possiamo iniziare a pensare e a chiederci cosa è cambiato dopo l’avvento di internet e del digitale e se possiamo drasticamente colpevolizzare la rete in se per tutte le tragedie che si sono verificate in seguito al desiderio di sfidarsi soprattutto tra i giovani.
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Le Challenge e il web: un’iniezione di “viralità”
Uno degli aspetti più innovativi e sicuramente importanti di Internet è stato il suo essere uno strumento capace di connettere persone da ogni parte del mondo in tempo, anche e soprattutto in tempo reale. Grazie alle innovazioni tecnologiche siamo riusciti a scrivere una mail o un messaggio dall’Italia recapitato in tempo reale a un conoscente o un cliente che si trova in Germania o magari negli Stati Uniti. Attraverso l’uso delle webcam possiamo vedere i nostri cari che in passato sono dovuti emigrare in Australia o in Brasile, oppure un amico in vacanza a Londra.
Internet e il digitale hanno realmente abbattuto ogni distanza, portando all’estremo il concetto di social.
La nascita delle chat, come Whatsapp, Telegram e dei social network come Facebook, Instagram, LinkedIn etc., ci ha permesso di condividere con un numero sempre crescente di persone, i nostri pensieri e le nostre azioni; non sempre purtroppo in maniera creativa e positiva.
Quello che è cambiato drasticamente rispetto al passato è la “viralità” delle informazioni: se prima la notizia di una nostra impresa aveva un tempo di divulgazione molto lento, dovuto magari al passaparola, oggi basta un click affinché potenzialmente tutta la rete sappia cosa abbiamo detto o fatto.
Questa allettante possibilità esercita un forte potere soprattutto tra i più giovani, ammaliati dall’idea di essere o divenire sempre più conosciuti, sempre più famosi. Siamo tutti felici di ricevere approvazione, che in rete si traduce in un like, in un cuore, o in un commento gratificante. Siamo tutti felici che il nostro breve video professionale o che magari mostra una nostra passione, riceva tante visualizzazioni ma bisogna stare molto attenti affinché questa gratificazione non diventi una vera e propria dipendenza da internet o nello specifico dai social.
Le challenge digitali si nutrono anche e soprattutto di “viralità”. I giovani, ma anche gli adulti, sono invogliati a partecipare a queste sfide, registrando dei video dove si esibiscono in attività che vedremo essere divertenti e creative ma spesso anche molto pericolose, per il piacere di sapere che quel video potrà essere visualizzato da centinaia, migliaia e in alcuni casi milioni di utenti.
Ecco dunque che, rispetto al passato, se parliamo di challenge, oggi si aggiunge un nuovo elemento di fondamentale importanza: il desiderio di arrivare a quante più persone possibile.
È di per se qualcosa di sbagliato? Di negativo voler giungere a quante più persone possibile? Personalmente credo di no. Personalmente credo conti il messaggio che si vuole trasmettere. Se ciò che voglio raccontare, con un articolo, con una foto, con una challenge, esprime ricchezza, bellezza, conoscenza, allora giungere a quante più persone possibile diventa un obiettivo di grande valore.
Le Challenge nel web: buoni o cattivi?
Spesso durante gli incontri di formazione a scuola, con i ragazzi, ma soprattutto durante gli incontri con i genitori, il dato che emerge quando si parla di sfide social o challenge è che i social, le chat, e spesso il web in generale, siano dei fenomeni negativi, da combattere e da evitare.
Dopo il tragico evento accaduto a Palermo, tanti hanno puntato il dito su Tik Tok, il social dove si svolgono moltissime di queste sfide e dove si è consumata la tragedia della bambina siciliana di 9 anni. Sembrerebbe quasi che la colpa possa essere delegata totalmente all’esistenza di questo o di quel social o all’esistenza di challenge come quelle nominate all’inizio dell’articolo.
Fortunatamente non è un pensiero comune e grazie agli sforzi di molte Associazioni, Enti, Formatori e della scuola, stiamo riuscendo non senza difficoltà a creare sempre più coscienza e consapevolezza tra i più giovani ma anche e soprattutto tra gli adulti, tra le famiglie: il web, i social, i devices digitali sono solo degli strumenti. Sta a noi che li utilizziamo, utilizzarli nella maniera più creativa, etica, morale, possibile.
Se facciamo un giro nella rete, possiamo renderci conto di come non sia possibile etichettare come “negativo” il concetto di challenge.
Esistono challenge divertenti, simpatiche, che non mettono in pericolo l’incolumità di chi si cimenta con esse. Per fare degli esempi:
- Whisper challenge
- Try not to laugh challenge
- Ice bucket challenge
- 30 days challenge
Solo per citarne alcune. Sono sfide divertenti, innocue che potete scoprire meglio, insieme ad altre cliccando su questo link.
Sulla rete è possibile trovare anche delle challenge creative, capaci di mettere in luce il nostro lato più creativo: E’ il caso di quelle come:
- Kayjune
- Inkytober
- Marchofrobots
- Art fight
- Global game jam
e tante altre che potrete ad esempio trovare cliccando a questo link.
Purtroppo, come abbiamo avuto modo di capire leggendo questo articolo e dalle notizie che ascoltiamo dai telegiornali o leggiamo sulla rete, tante sono anche le sfide pericolose e spesso mortali, in cui si imbattono soprattutto pre adolescenti e adolescenti:
- Blu whale challenge
- Blackout challenge
- Birdbox challenge
- Dare devil selfie
e anche qui potremmo continuare con una lista che purtroppo vede tante altre sfide molto pericolose dalle quali i più piccoli sono molto spesso tentati. Come per le challenge divertenti e creative, anche per quelle pericolose si trovano tanti articoli sulla rete dove trovare descrizioni accurate di ognuna di esse.
Tornando alla domanda che ci siamo posti ad inizio del paragrafo, dunque:
- le challenge sono buone o cattive?
- i social sono buoni o cattivi?
- Internet è un mare sereno in cui poter navigare o un oceano in tempesta dove è facile affondare?
La risposta è che ognuno di essi è semplicemente uno strumento; un contenitore. Di per se nessuno di essi è buono o cattivo. E’ l’utilizzo che ne farà l’utente a decretare se sarà strumento di creazione, di valore o viceversa di distruzione!
Ogni giorno, insieme ai miei carissimi colleghi, durante ogni singolo incontro che avviene sia con alunni, docenti o genitori, cerchiamo di divulgare quella che abbiamo ribattezzato come la Regola delle 3 R:
- Responsabilità
- Rispetto
- Reputazione
Solo seguendo scrupolosamente questa regola, nella rete così come nella vita di tutti i giorni, possiamo aspirare a un web che sia luogo di benessere e felicità.
I genitori che ruolo rivestono in tutto ciò?
Un ruolo sicuramente di grandissima importanza, un ruolo di primo piano. Non dimentichiamo mai che la famiglia è la prima vera palestra emotiva di ogni bambino. È attraverso i genitori che il bambino inizia a conoscersi e a conoscere. A prendere coscienza del sé e degli altri. A sviluppare concetti di fondamentale importanza come empatia e intelligenza emotiva.
Doti imprescindibili quando il bambino, crescendo, si confronterà con la società. Doti imprescindibili quando il bambino, crescendo, inizierà ad utilizzare i devices digitali e la rete. Se non avrà imparato dai genitori e poi dalle Istituzioni come la scuola a sviluppare e fare propria la regola delle 3 R (rispetto, responsabilità e reputazione), sarà maggiormente esposto a tutti quei rischi che purtroppo presenta la rete.
Il ruolo degli adulti e dei genitori è imprescindibile, ed è per questo che credo fermamente in dei percorsi formativi che ancor prima dei ragazzi, vedano come protagonisti gli adulti, le famiglie.
Percorsi che facciano comprendere a fondo:
- le logiche e un corretto funzionamento della rete, dei social e dei devices digitali;
- l’importanza delle soft skills, quelle competenze trasversali tanto importanti oggi nella società e nel mondo del lavoro;
- i processi neurofisiologici che avvengo in ognuno di noi, dall’età dell’infanzia fino all’età dell’adolescenza. I comportamenti dei nostri figli sono dettati anche da processi neurologici e biologici che ogni genitore deve conoscere bene per poterlo accompagnare e guidare durante la crescita.
Il desiderio di sfida è qualcosa che ci accompagnerà sempre. Avremo sempre il desiderio di metterci alla prova, di misurarci con altri individui. Che sia di presenza o che sia attraverso un dispositivo digitale. È connaturato all’uomo.
Facciamo in modo che siano sfide di valore. Che siano sfide propedeutiche ad una crescita interiore e volte ad un confronto positivo con gli altri. Non occorre sempre vincere e dalle sconfitte si apprendono spesso le lezioni più belle ed importanti della nostra vita.