
Si sente sempre più spesso parlare di analfabetismo emotivo come il male oscuro del terzo millennio.
Ci siamo mai chiesti cos’è realmente e chi sono coloro che ne soffrono e che potrebbero esserne vittime? Si tratta di una nuova forma di “malattia mentale”, oppure lo possiamo considerare come un disagio transitorio, legato ai tempi difficilissimi che stiamo vivendo?
In questo articolo scopriremo:
- Cos’è l’analfabetismo emotivo
- Il legame profondo con l’aggressività
- Combattere l’analfabetismo emozionale con l’Intelligenza emotiva
- Analfabetismo emotivo e Social network
Non è un malessere passeggero, come fino a pochi anni fa si credeva, interessante solo per la sfera privata e personale di ognuno di noi.
Chiaramente non si può parlare di una malattia nel senso classico del termine ma, a ben vedere con il contributo di studi seri e importanti, negli ultimi decenni si sta comprendendo che l’analfabetismo emotivo ha delle conseguenze nell’ambito della socialità davvero molto serie.
Proviamo a fare una rapida fotografia della situazione: molte persone, che magari conosciamo direttamente, sono davvero abili nel padroneggiare tante competenze professionali. Si tratta, per lo più, di abilità legate alla sfera logico-razionale e cognitiva.
Professionalmente impeccabili, grandi conoscenze e ampie capacità di risposte razionali. Le difficoltà cominciano quando anche la parte emotiva della personalità viene tirata in ballo.
E scopriamo che, nel mondo e nel contesto sociale di oggi, è sempre più importante e impattante.
Quanta consapevolezza esiste, soprattutto tra i giovani, di quelli che sono i “sani principi” dell’equilibrio emotivo? Quanto tempo e risorse stiamo investendo in questa direzione per il futuro dei nostri figli?
Conosciamo più o meno tutti le buone abitudini per una vita sana: una dieta equilibrata, dormire un numero di ore opportuno, regolare esercizio fisico, meditazione, ecc.
Eppure la stessa attenzione e sensibilità non viene posta su un argomento di grande rilevanza come quello della nostra salute emotiva e degli stati personali ad essa collegati.
Vediamo di comprendere meglio.
Cos’è l’analfabetismo emozionale?
L’analfabetismo emotivo o emozionale è l’incapacità di decifrare, interpretare, esprimere e, di conseguenza, di adattarsi con adeguati comportamenti reattivi alle emozioni in un contesto di ampia socialità. Il suo impatto non è quindi solo individuale, bensì ha ampie ricadute collettive.
Qualcuno lo definisce anche alessitimia (o alexitimia), dal greco a- «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione» ovvero: «mancanza di parole per (esprimere) le emozioni».
L’analfabetismo emotivo consiste nella carenza di una preziosa abilità che ci consente di sentire, riconoscere e gestire gli stati d’animo nostri e altrui, anche perché, gli esseri umani non possono essere considerati solamente come una semplice somma di competenze logico-matematiche, razionali e linguistiche.
Sono invece esseri sociali dotati di emotività che attraverso e grazie ad essa scelgono, decidono e si muovono, non solo individualmente ma anche socialmente.
Forse crediamo che l’analfabetismo emotivo sia un fenomeno nuovo, invece è importante sapere che fu individuato già negli anni ’70 dello scorso secolo, grazie allo studioso e psicoterapeuta Claude Steiner, il quale spiegò che: «un soggetto emotivamente equilibrato sarà capace di vivere in armonia con le proprie emozioni, migliorare la qualità della vita e godere di ottime relazioni interpersonali. Invece, l’analfabeta emotivo, subirà le proprie emozioni, senza riuscire a decifrarle e usarle in modo opportuno nella società. Tutto questo con chiare conseguenze sugli altri». Le sue parole furono profetiche.
Il termine “analfabetismo” presenta una connotazione davvero molto brutta e, da sempre, fortemente negativa. Pensiamo solo che nel secolo scorso era legato alla non conoscenza di competenze di base per la persona, come saper leggere, saper scrivere e far di conto.
Ebbene, oggi sta assumendo una connotazione altrettanto negativa, con riferimento ad altre carenze: quelle emozionali!
Proviamo a elencarne alcune di queste carenze che riguardano, in modo evidente, la sfera delle emozioni:
– difficoltà a comprendere (a leggere) le emozioni degli altri;
– difficoltà a riconoscere le proprie emozioni;
– scarse capacità relazionali e comunicative;
– scarsa capacità empatica;
– scarsa capacità assertiva;
– carenti capacità di reazione agli eventi avversi e ai problemi che abbondano nella vita di tutti i giorni;
Gli elementi che abbiamo elencato a proposito dell’analfabetismo emozionale, esprimono in realtà una sorta di mancanza o di aridità di risorse e strategie psicologiche che, sempre più spesso, possono rendere molto vulnerabili i giovani (ma non solo) a tutta una serie di disturbi, quali l’ansia, la depressione, i disturbi alimentari, le esplosioni di rabbia incontrollate, le tendenze suicide, l’alta conflittualità sociale. I costi in termini sociali possono essere davvero molto alti e a pagarli sono in prima battuta i giovani e i giovanissimi.
Il legame profondo con l’aggressività
Gli episodi di violenza e intolleranza proliferano senza sosta verso tutti e verso ogni idea che sia diversa o altra.
La cronaca è quotidianamente piena di eventi, più o meno gravi, che si manifestano come esplosioni di rabbia, mancanza di compassione e di empatia, crudeltà gratuite o per futili motivi.
Molti parlano di semplice maleducazione oppure di perdita del senso civico.
E se non fosse solamente questo? E se, invece, ci fosse un legame profondo e delicatissimo tra gestione della salute emotiva e le sempre più continue e cruente manifestazioni di violenza in ambito sociale?
La grave situazione è, in verità, come già preannunciato quasi in modo profetico da Daniel Goleman, il massimo divulgatore dell’Intelligenza Emotiva a livello mondiale, nella prima edizione italiana di Intelligenza Emotiva (1996), il riflesso di un malessere emozionale che colpisce tutti gli strati della società a livello globale.
È sempre più comune che i giovani manifestino degli stati emotivi violenti e aggressivi senza sapere da dove realmente provenga questo malessere, ma soprattutto come fare a gestirli. C’è e basta. Lo si vive anzi, lo si subisce.
In realtà è come se tutti nascessimo analfabeti emotivi ed è assolutamente normale che, nei periodi successivi alla nascita, gradualmente, inizia un processo costante di relazione e crescita con l’altro da sé.
È a questo punto che subentra il ruolo fondamentale dei genitori. I bambini hanno bisogno di quella che tecnicamente viene chiamata la convalida emotiva, vale a dire un processo fondamentale attraverso cui i piccoli cercano l’accettazione radicale dell’esperienza emotiva in altre persone che rappresentano punti di riferimento (esterni) importanti per loro, i genitori appunto.
Purtroppo, come già sapientemente detto da Goleman più di 20 anni fa, accade sempre più spesso che si vada incontro a un processo di invalidazione emotiva, cioè che la vita emotiva del bambino viene trascurata, le emozioni represse, seppellite, sminuite, respinte, giudicate, considerate stupide o inutili per la vita del bambino, quest’ultimo imparerà che le emozioni sono nemiche da evitare e non farà altro che respingerle o nasconderle, a sé e agli altri.
Conseguenze? Quelle descritte da vari pedagogisti e psicologi sociali che, già alcuni anni fa, parlavano di “aridità e ottusità” emotiva.
La naturale conseguenza è che, soprattutto i giovani, non potranno esercitarsi con il proprio mondo emotivo, non sapranno gestirlo e probabilmente sono destinati a diventare adulti con forme di analfabetismo emotivo.
Contrastare l’analfabetismo emozionale con l’intelligenza emotiva
Nel nostro Paese, già nel 2007, il filosofo Umberto Galimberti ha lanciato l’allarme, evidenziando come l’analfabetismo emotivo stesse dilagando soprattutto tra i più giovani a causa della mancanza di tempo, di opportunità, di attività e progetti a medio e lungo termine, relativi proprio alla sfera emotivo-relazionale.
Oggi gli ambienti di Scuola e Famiglia sono sempre più legati dalle dinamiche di violenza, sia essa verbale, psicologica e fisica. Fenomeni come il cyberbullismo e il bullismo sono all’ordine del giorno e, a seguito dei disagi psicologici conseguenti la pandemia da Covid-19, sembrano davvero incontrastabili, in fortissima crescita.
Quante volte negli ultimi anni abbiamo sentito parlare di allenamento alle emozioni già a partire dalla Scuola. Quanta teoria si è messa in campo per presentare l’educazione alle emozioni anche nel mondo scolastico o nelle famiglie?
Eppure, nonostante tutto, sembra non si comprenda pienamente la necessità di accelerare su questo versante dell’ educazione individuale.
In realtà nei programmi di molti istituti italiani, su indicazione del MIUR, il tema e l’obiettivo del miglioramento delle competenze emozionali è presente e, in verità, acquisisce sempre più valore. È anche vero che i tempi si fanno sempre più stretti.
Insegnanti, educatori e adulti, abbiamo la necessità sempre più forte di apprendere e padroneggiare meglio gli strumenti per gestire meglio le emozioni e poi per insegnarlo ai giovani.
È forte l’esigenza per il mondo della scuola di conoscere ed essere informati a proposito dei bisogni di inclusione e cittadinanza attiva di cui tanto si parla, così come è fondamentale per i docenti sviluppare, oggi più che mai, le abilità emotive per gestire al meglio le criticità che si vivono giorno per giorno nel sistema-classe.
Un percorso formativo di straordinario valore è quello della Comunicazione non Violenta di Marshall Rosenberg. In modo semplice e divertente, Rosenberg ci permette di allenarci con leggerezza nel riconoscere e nominare i sentimenti distruttivi e a manifestarli nel modo più assertivo possibile. Un metodo che parte dalla valorizzazione del linguaggio positivo per determinare stati emotivi più rispettosi e aperti.
La Comunicazione non violenta di Marshal Rosenberg, è solo una delle strategie che ci aiuta a sviluppare la nostra Intelligenza Emotiva…
Facciamo un rapido ripasso che male non ci fa.
La capacità di saper gestire la vita emozionale utilizzandola come base per la motivazione e il comportamento, rappresenta una delle abilità fra le più importanti della vita di una persona.
Ecco, questa è una delle definizioni più semplici di Intelligenza Emotiva, così preziosa per contrastare l’Analfabetismo emozionale.
Quando parliamo di Intelligenza Emotiva facciamo riferimento alle capacità di:
- saper gestire un impulso emozionale;
- avere consapevolezza delle proprie emozioni;
- manifestare un atteggiamento resiliente;
- saper leggere gli stati d’animo altrui;
- gestire le emozioni implicate nella relazione con gli altri;
- saper comunicare in modo efficace con gli altri
L’intelligenza emotiva quindi, ci sostiene ad essere in contatto con il proprio mondo interiore per vivere meglio la dimensione sociale.
Analfabetismo emotivo in Rete
Su questo argomento, così delicato e di grande attualità, c’è un dibattito attualissimo. Ci si chiede sempre più spesso, se lo sviluppo e l’affermazione della vita online grazie al digitale stia contribuendo all’aggravarsi dell’analfabetismo emotivo.
Con i social media stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione della comunicazione:
è cambiato il nostro modo di parlare, di socializzare, di relazionarsi, di esprimersi, di studiare.
La domanda è: i cambiamenti sono verso il meglio o verso il peggio? Ci sono delle vere e proprie “barricate” su questo aspetto.
La letteratura scientifica sembra far emergere che l’uso dei social network abbia ricadute sull’uomo da un punto di vista psicologico, in particolare, nel processo di riconoscimento ed espressione emotiva (di alfabetizzazione emotiva), generando comportamenti anche di grande disagio e disfunzionalità. Ma è sempre così?
I social network, hanno la caratteristica di dare agli utenti la libera gestione e personalizzazione del proprio profilo. Permettono così di modificare profondamente sia la propria identità personale che la propria rete sociale per interagire con gli altri.
Così possiamo stare dentro a molte reti sociali, crearne di nuove, decidere chi si vuole essere e cosa raccontare a un pubblico di interlocutori potenzialmente infinito.
Le piattaforme social offrono a tutti uno strumento potentissimo per creare una nuova modalità di esperienza sociale: consentono infatti, di fare entrare il virtuale nel nostro mondo reale e viceversa.
Se riflettiamo bene, mettendo da parte pregiudizi e valutazioni affrettate, i social network e gli ambienti digitali, sono ricchi e disseminati di emozioni.
Certamente è più complicato riconoscerle, perché non ci sono tanti fattori essenziali alla comunicazione, quali la fisicità e la corporeità.
Il digitale ci pone di fronte a moltissime opportunità, valicando limiti come probabilmente nessun altro medium è stato in grado di fare fino ad ora. Tuttavia, sono degli strumenti di mediazione che si interpongono tra gli interlocutori. Se questi ultimi però soffrono già di scarse competenze emotive, le interazioni online potrebbero diventare molto conflittuali, con punte di scarsissima intelligenza emotiva.
La scarsa cura per l’educazione all’emotività negli ultimi decenni, ha fatto sì che gli ambienti digitali stanno aggravando una crisi personale degli individui delle società occidentali.
Come se fossimo pronti a riversare le nostre “incompetenze” emotive sui social e in rete, luoghi che dovrebbero essere di inclusione e confronto.
Vuoi sviluppare la tua intelligenza emotiva e comunicare in maniera empatica ?
Scopri i corsi di Togethere Learning!